La strada che porta a Guardia Sanframondi è tutta in salita. Percorrendola, cambiano i colori ed i suoni del paesaggio. Man mano che ci si avvicina al paese, ci si lascia alle spalle gli abitati, le superstrade diventano strade e più s’inerpicano più diventano brulle, essenziali, spoglie. Davanti, ben presto, s’affollano colline, un bosco e la sua frescura, il verde tutto intorno. L’aria si addolcisce, i paesi attraversati restano giù ed anche il sole diventa più terso nel blu carico del cielo sannita. Inizia dal viaggio il cammino a ritroso nel tempo, l’ascesa all’ Olimpo concessa a chi voglia: una volta ogni sette anni. Si sale a Guardia e salendo, si lascia il mondo giù in un lento distacco. Si sale a Guardia per incontrarne un altro di mondo, che è una composta affollata intima moltitudine. E giunti lì, ancora si sale. Pietre bianche sotto i piedi: un paese inerpicato che pare aggrappato alla sua basilica. Per unirsi alla moltitudine lassù, va fatta penitenza e fatica fin dal primo passo: le pendenze rendono duro il cammino anche al semplice curioso. Ma davanti si aprono vicoli bagnati di luce, improvvisi gorgoglii di fontane di pietra, scale e scaloni, anfratti, passaggi e balconi che incoraggiano e discretamente accolgono. C’è una comunità che vive e partecipa che è essa stessa il rito. I riti non sono Sanniti, sono guardiesi. Ma Guardia è Sannio ed è tutta sannita la profondità e la partecipazione con la quale gli abitanti di quella comunità vivono e animano i loro Riti settennali in onore dell’Assunta. Ogni donna, ogni uomo di Guardia è impastato di questa tradizione. Ogni uomo ed ogni donna di Guardia è tale perché muove i Riti e perché vive i Riti: li rappresenta e, dunque, li è. Li vive perché altri hanno trasmesso, tramandato e a loro volta essi stessi tramanderanno. Nelle magnifiche processioni settimanali, nelle stupende rappresentazioni dei “misteri”, in questi strabilianti quadri umani itineranti, si mischiano bimbi, giovani, adulti ed anziani. Ciascuno partecipa e anima. Ciascuno impara ad essere parte, ciascuno impara ad essere tassello di un mosaico mirabile ed infinito. I bimbi imparano a partecipare ai Riti accanto agli altri, in modo che quella tradizione entri nella loro vita e cresca con loro, che diventi una cosa naturale.
E’ il miglior investimento contro l’oblio del tempo che travolge ogni memoria. Hanno voce antica i Riti, un canto ancestrale che ha attraversato secoli e secoli restando uguale eppure mai superato. Sei giorni di processioni, sei giorni di fatica e di preghiera, sei giorni di simboli e di mistero, sei giorni di bellezza e di riflessione. Poi, alla fine, ecco il giorno della processione generale. I vicoli di Guardia diventano una tonnara: un tappeto di persone a sommergere il paese, quasi a preservarne i lastroni delle strade bianche, a sorreggerne i vicoli che si preparano ad accogliere il martirio. Arrivano, poi, incappucciati, i Battenti. Bianchi e lucenti al sole come le pietre di Guardia. La tonnara d’improvviso scopre per loro il tappeto di pietre bianche, si assiepa ai lati e gli lascia la strada: adesso è tempo di restituire Guardia ai suoi Battenti. Gli incappucciati escono dalla basilica di spalle e si dispongono dietro al Mistero di San Girolamo penitente. Silenzio. Un silenzio irreale, improvviso, spiazzante.
Poi il tonfo, sordo, ritmico che rompe il silenzio della tonnara, che scuote la composta affollata intima moltitudine che ora, tutta, tace. Tace senza che le sia ordinato, senza che qualcuno glielo abbia chiesto: tace, tutti tacciono improvvisamente, contemporaneamente. I Battenti avanzano e tagliano il silenzio. Si battono ritmicamente. Li accompagna una litania che sembra venire dall’ alba dei tempi. Brividi. Il paese sembra sospeso in una dimensione indefinita, in un tempo di cui non si distinguono più i confini ed ogni giudizio è sospeso. Camminano e si battono, tra due ali di muta umanità, nel tonfo sordo dei colpi affondati, tra il tintinnare dei loro flagelli deposti alle cintole ad ogni passo, mentre la litania antica cantata in mezzo a loro da donne scavate dal tempo, li accompagna e attraversa i vicoli, le anime e toglie a ciascuno la parola. L’odore pungente del sangue che si unisce a quello del vino con il quale si bagnano le spugne di spilli che battono e lacerano le carni, è un tormento quasi insopportabile da sentire, ma inevitabile e necessario. Sono tanti i Battenti. Espongono il loro corpo ma non la loro identità. Offrono in visione la propria sofferenza ma non loro stessi. Quello con l’Assunta non è un rapporto pubblico, ma privatissimo, intimo, diretto nonostante la loro penitenza si manifesti al mondo, sia esibita al mondo. I Riti sono anche la pubblica esposizione di un rapporto totalmente intimo con il Divino che, per quanto paradossale, continua a resta tale: pubblico e, al contempo, privatissimo. Succede solo qui, a Guardia, nel Sannio e succede così da centinaia e centinaia di anni. Il sangue dei Battenti serve ad espiare, come quello versato da Cristo è servito a cancellare le colpe degli uomini.
Il sangue dei Battenti serve a testimoniare, come quello versato dai martiri, come quello delle stimmate dei santi. Oggi come ieri, il sangue come mezzo per legarsi al divino, come dono al divino. Si avverte l’eco di riti ancestrali, di libagioni e di offerte sacrali che si perdono a ritroso nella storia degli uomini. Si battono il petto i battenti di Guardia: come guerrieri Sanniti prima di una battaglia a richiamare dentro di sé l’orgoglio e la responsabilità di un’appartenenza. Segni identitari antichi e presenti. C’è tanto della nostra storia dentro i Riti di Guardia, tanto della nostra spiritualità e tanto della nostra cultura. La nostra: quella Sannita. Ecco perché ci si accosta con delicatezza ai Riti, badando bene a non invadere, a non essere d’intralcio, a non disturbare: Guardia si offre nuda nella sofferenza, contratta dal dolore della penitenza lungo la via dell’espiazione e non chiede altro, se non silenzio. E quel silenzio, indotto e mai comandato, sentito e mai impartito, tanto profondo quanto irreale, è l’esatto manifestarsi della totale partecipazione di chi assiste a ciò che accade. E’ un momento potente di cui si avverte tutta la forza. Il cuore della straordinaria unicità dei Riti Settennali di Guardia Sanframondi risiede nel fatto che tutto qui è un mirabolante ossimoro. Tutto qui convive contemporaneamente senza elidersi, senza annullarsi, senza condizionarsi. Ogni battente offre alla vista della moltitudine il gesto della propria cruenta espiazione, le stimmate della propria sofferenza, pur conservando intatta, nel medesimo momento in cui si espone, la privatezza del proprio rapporto con l’Assunta al quale quel dolore è donato. C’è tutto: spettacolarizzazione e profondità, ostentazione e segretezza, bellezza e dolore, sacro e profano, presente e passato, rivoluzione e reazione, solitudine e moltitudine, simbolismo e semplicità.
I Riti racchiudono tutta la poetica e la disperazione di un naufragio e Guardia diventa un anfratto tra le pieghe del tempo, un cunicolo che si apre lungo il ciglio della storia, un rifugio nella tempesta del superfluo, un’intercapedine in fondo all’oceano della superficialità, un posto, il posto, dove esistono e convivono i contrari. E ogni sette anni, vale la pena perdersi e ritrovarsi qui.
Angelo Montella
@angelomontella